Letture e Albo Illustrati

Albo illustrato sulla disabilità

“L’elefante Dadà” è un albo illustrato che parla ai bambini del tema della disabilità e dell’accettazione di sé. Attraverso la storia di un elefantino alla ricerca del suo occhio perduto, questo albo illustrato percorre con delicatezza i temi delle sfide mediche che i bambini disabili devono affrontare e di come trovare la felicità, superando la sensazione di essere sempre “diversi”.

Ho scoperto questo albo illustrato per caso ed ha subito fatto risuonare in me delle corde profonde. La storia, delicata e a portata di bambino, aiuta realmente i più piccoli a trasformare le difficoltà in “sfide magiche” da superare, aiutandoli nel loro percorso di vita.

Questo albo illustrato è perfetto sia come lettura da fare a casa, sia come proposta in classe perché aiuta ad affrontare tematiche molto importanti con i bambini come la disabilità, l’inclusione, le malattie rare e la cecità.

Lo trovate qui: L’ELEFANTE DADA’ – ALBO ILLUSTRATO SULLA DISABILITA’

Oltre lo sguardo: come spiegare la disabilità ai bambini

L’infanzia è l’età della scoperta, della curiosità senza filtro e della spontaneità. I bambini non hanno pregiudizi innati; osservano, notano le differenze e, soprattutto, fanno domande. Spiegare loro la disabilità non è un compito da adulti imbarazzati, ma un’opportunità preziosa per parlare di umanità, diversità e accettazione. È un viaggio che, proprio come quello dell’elefantino Dadà, aiuta a scoprire un nuovo modo di guardare, un modo in cui la presunta “dis-abilità” si rivela in realtà una ricchezza e un’abilità speciale.

Normalizzare la differenza con sincerità

Il primo e più importante passo è normalizzare. La disabilità è semplicemente una delle tante, infinite, variazioni dell’essere umano. Proprio come c’è chi ha i capelli ricci e chi li ha lisci, chi è alto e chi è più basso, c’è chi per muoversi usa una sedia a rotelle o chi, come Matilde, vede in modo parziale o usa una protesi oculare. Queste non sono tragedie, ma caratteristiche della persona.

Usare le parole giuste è cruciale. Evitiamo eufemismi vuoti o termini carichi di pietismo, come “sfortunato”, “costretto” o “diversamente abile” (che sottintende che esista un solo modo “abile” di esserlo). È meglio parlare di “persona con disabilità” o, in modo più specifico, “persona ipovedente”, “bambino che usa la sedia a rotelle”, mettendo sempre la persona al primo posto. La disabilità è una condizione, non l’intera identità.

Davanti alle domande dirette dei bambini – e non temete, arriveranno! – la sincerità e la chiarezza sono i nostri alleati. Se un bambino chiede: “Perché Sofia ha un occhio diverso?”, la risposta deve essere semplice e onesta, commisurata alla loro età: “Sofia è nata con una malattia che ha reso il suo occhio un po’ pigro, e usa una protesi per aiutarla a vedere meglio e a farla sentire a suo agio”. Non serve nascondere, ma spiegare con naturalezza.

Dal limite alla risorsa: l’ottica dell’abilità

Una delle maggiori sfide è spostare l’attenzione da ciò che non si può fare (il “limite”) a ciò che si può fare (la “risorsa”). Questo è il cuore del messaggio: ogni diversità porta con sé un’abilità unica. Un bambino ipovedente può avere un udito o un tatto molto più sviluppati; uno in sedia a rotelle può eccellere nella pittura o nello studio. Incoraggiamo i bambini a guardare la persona nella sua interezza, a notare i talenti e le somiglianze prima delle differenze.

La diversità è la vera ricchezza.

Per i bambini, il modo migliore per capire è l’esperienza diretta e l’empatia. Possiamo proporre semplici giochi per esplorare la prospettiva dell’altro, come camminare per pochi secondi con gli occhi bendati (sotto la nostra supervisione) per capire meglio la difficoltà, non la paura, del non vedere. Questo aiuta a sviluppare l’intelligenza emotiva e l’abilità di mettersi “al posto dell’altro”, come suggerisce la parabola dei sei ciechi e l’elefante. L’obiettivo non è provare pietà, ma comprensione profonda.

Coltivare inclusione e amicizia

L’inclusione non è “far posto” alla persona con disabilità, ma costruire un mondo dove tutti abbiano l’opportunità di partecipare. Per i bambini, questo si traduce in amicizia e gioco.

  • Incoraggiare l’interazione: aiutiamo i bambini a trovare modi per giocare insieme. Se un gioco è troppo difficile per un amico, chiediamo: “Cosa possiamo modificare per far giocare tutti?”. Spesso bastano piccoli accorgimenti: cambiare il tipo di palla, muoversi più lentamente, o usare la voce per descrivere un’immagine.
  • Valorizzare i contributi: sottolineiamo come l’amico con disabilità arricchisca il gruppo. La sua prospettiva unica o la sua pazienza possono essere contributi preziosi che rendono il gioco più interessante.

Infine, ricordiamo loro che, pur con le loro differenze, i bambini sono prima di tutto bambini. Hanno gli stessi desideri, le stesse emozioni e la stessa voglia di giocare, imparare ed essere felici. La disabilità non è un ostacolo insormontabile all’amicizia, ma un dettaglio in un mosaico di personalità uniche. Insegnando l’inclusione e l’accettazione, non stiamo solo aiutando l’altro, ma stiamo arricchendo i nostri stessi figli con la lezione più preziosa: che essere unici è meraviglioso.

A presto,

Deborah